sabato 24 gennaio 2015

Un richiamo


L'aria è più calda di come la ricordavo, quando il flauto la taglia, ed io non riesco a continuare.
Devo fermarmi.

Non posso rievocare la prima volta che ho ascoltato la canzone.
È sepolta sotto anni di manifestazioni, cene sociali, feste della liberazione, semplici serate al bar.
Fatto sta che da alcuni anni non posso più cantare quella canzone per intero.
Ci provo, a volte, quando le prime note tornano a trovarmi nel mezzo di una giornata storta, perso nel traffico o solo a casa.
Ho provato a cantarla, piano, a me stesso. Ma non riesco mai.
Devo fermarmi.
Qui ad Atene un collega, esperto di economia, dice che la Grecia non può farcela.
Non ci sono le condizioni.
Anche se vincerà Syriza non hanno gli strumenti per rimettersi in piedi, non c'è nessun presupposto economico.
Possono solo sperare che le cose smettano di peggiorare.
La politica in questo, dice, è influente solo fino ad un certo punto, perchè se gli investitori non investono dall'estero la tua ripresa è impossibile.

Il tassista che mi ha portato a piazza Omonia ha detto che a lui di Syriza non interessa, lui vorrebbe votare qualcun altro.
Ma qualcosa deve cambiare, e può cambiare solo così.
Nelle immagini del comizio pre elettorale Tsipras allarga le braccia verso la folla con tono e volto sereni, alza la voce di tanto in tanto.
Ha imparato bene la lezione, ma non è solo quello.
Nel controcampo ci sono ragazzi giovani, facce sorridenti, accanto a uomini e donne di tutte le età, famiglie, vecchi che mi ricordano un altro tempo.
Vecchi che mi ricordano la canzone.
Sorridono tutti.
Sono gli stessi ragazzi che ho visto sul corso principale fare shopping e fermarsi ai banchi di carità  per mangiare un pasto gratis.
Le stesse famiglie, gli stessi padri che ho visto prendere i buoni pasto per i figli.
Sono gli stessi vecchi che mi hanno detto di non avere più la corrente in casa, perchè non possono pagarla, e di viaggiare sempre a piedi perchè non possono permettersi l'autobus.
Dopo anni di troika non hanno più lavoro, stato sociale, stabilità, futuro.
Hanno solo qualche parola lanciata da un palco.
Tutto il mondo pensa non possano farcela, eppure tutto il mondo è qui con gli occhi puntati.
Loro sorridono.
Uno di loro, fermo ad aspettare l'autobus, oggi ha sorriso allo stesso modo mentre la telecamera filmava un manifesto elettorale.
"Alexis is a good boy" ha detto.
A good boy.

L'aria è più calda di come la ricordavo, quando il flauto la taglia alla fine del comizio ed io non posso continuare a filmare.
Devo fermarmi.
Ho solo una foto, come al solito fatta male.


Sotiris, il ragazzo greco che ho a fianco, dice che la canzone non è suonata a caso in quel preciso momento.
È un richiamo.
Dopo gli spagnoli, dice, la grecia sa chi vuole accanto, nel cambiamento.
ξαδέρφια μας.
I nostri cugini, ci chiama così.

Non ho nulla per dire come andrà, solo l'effetto che mi fa quel flauto ed il fatto che devo fermarmi,
ma la canzone continua e tutta questa gente la segue con una gioia che non ho più visto da anni, nel mio paese.




sabato 17 gennaio 2015

La battaglia del Lavoro


La prima puntata che ho realizzato per intero assieme a Giulia Bosetti della nuova stagione :

http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-df932a50-1f02-428b-8019-8380ea6a555c.html#p=0

Va in onda domani sera, 21:45 Rai tre
una piccola anticipazione:

Post by PresaDiretta.

Gli sono legato per molti motivi ed è un racconto molto intenso di come sta cambiando il lavoro nel nostro paese.

Forse, alla fine, di come cambia il paese tutto.

giovedì 1 gennaio 2015

La foto è fatta male


La foto è fatta male.
Perché mi girano i coglioni.

Saranno le sette, le otto, cosa ne so: la signorina ha avuto premura  di ricordarcelo comunque dall’altoparlante del supermercato che sta per chiudere e ho fatto il bravo e mi sono affrettato assieme agli altri fino all’uscita sul piazzale, che ormai è quasi vuoto.
Continuiamo ad affrettarci tutti, anche ora che la faccenda non è più di competenza della signorina e del suo altoparlante, i bimbi ridono e girano intorno agli adulti che sbuffano e  spingono  carrelli enormi,  senza perdere la fretta, perché è il 31 dicembre e rischiamo di fare tardi per la festa.
Borse da spesa mastodontiche seppelliscono i bagagliai delle auto.

Le mie, rachitiche,  dondolano controvoglia ai lati dalle tasche del cappotto dove ho ficcato le mani per il freddo.
Non serve che metta il freddo, lo sentite da voi.
No, serve che metta il freddo. Magari non lo sentite così.

Quasi vuoto, il piazzale, e anche io sono al minimo storico.
Sto cercando un posto dove portarmi. Me e le mie buste della spesa.
Dentro, oltre a qualche liquido in bottiglia, ci sono tre o quattro brutte notizie fresche, raccolte nelle ultime trentasei ore. Non le più brutte dell’anno ma facciamo quasi e facciamo che così, tutte insieme per il 31 dicembre…
Sto cercando un posto accogliente, dove portare me, qualche bottiglia e tre o quattro brutte notizie senza essere troppo fuori contesto.
Se possibile che ospiti me e bottiglie per un breve periodo, e si tenga le notizie molto più a lungo, ma da qui non mi vengono in mente posti del genere.
Vorrei essere in mezzo al deserto ora, sono in mezzo al deserto ma sopra c’è il piazzale delle auto di un supermercato e intorno una città e per questo non faccio quello che farei in mezzo al deserto: per questo mi affretto per andarmene.

Ci sono anche quasi riuscito.

“Signore! Signore mi scusi…”
Vecchietta, da dentro una cinquecento bianca con la portiera aperta.
Pericolo.

“…Che me la dà una mano?”.
No, signora, voglio andare a casa e farmi una doccia. Non so dove andare ma devo andarci subito, non ho tempo, capisce? Non vorrei presentare nuove amiche a queste brutte notizie che vede qui, ma a guardare un attimo lei e la sua cinquecento ferme in mezzo al piazzale scommetterei che invece stiamo per mettere su un bel ricevimento.

“Certo signora, mi dica.”
“Non mi parte più, non so cosa fare, è la seconda volta in dù giorni…”
Ciao ragazze, anche voi qui? Come va tutto a posto? Siete in formissima! Si passa insieme questo capodanno?
“…mio figlio me l’ha detto che devo stare attenta, ma io non so che fare, non parte! Può provare lei?”

Si è persa in un sedile davanti di una cinquecento, mi guarda e sulle ultime le trema la voce.
Da qualche parte mi spunta fuori un sorriso.

“scenda signora, mi faccia provare.”

Fuori dalla macchina la signora sembra ancora più piccola: è bassa e tozza, i capelli tenuti su dalla lacca. Succede ad un sacco di vecchiette, anche delle mie parti, e quando succede io non posso evitare di volergli bene, purtroppo.

Spingo la frizione e giro la chiave. Il motore tossisce, la scintilla non parte.

“Signora si è ingolfata.”
“Eh, me lo ha detto anche mio figlio! Ha detto che non devo spìgne l’acceleratore, ma come faccio ad andare se non lo spingo?”
“Non lo deve tenere premuto mentre mette in moto, lo deve premere poco quando ha messo in moto.”
“Ecco! Ecco! Me lo dice anche mio figlio, ma io mi sbaglio sempre, è la seconda volta in dù giorni! Sbaglio sempre, faccio un sacco di sbagli, ma come faccio ora?”

Mi guardo intorno.
Le ultime famiglie, le ultime auto le ultime borse della spesa. Poso le mie.

“Facciamo così signora: io adesso le spingo indietro di poco la macchina, lei sterza qua e la mettiamo diritta così posso spingerla ancora sul rettilineo del piazzale e proviamo a metterla in moto così.”
“Grazie, grazie! Secondo lei faccio in tempo ad andare alla messa?”
Non lo so signora, io per non sbagliare qualche preghiera comincerei a dirla in anticipo.

Metto la macchina in posizione, la signora sale sopra e le chiudo la portiera, mi piazzo dietro.
Ho lasciato il finestrino aperto perché senta le mie istruzioni mentre spingo.

“Signora tolga il freno a mano. No, non l’ha tolto.”
“Ora può mettere in seconda? Cerchi di non sterzare, se no è più difficile”

Da dentro anche la signora cerca di spiegarsi: “Ho paura, ho pauraaaa!”

“No signora, non abbia paura non succede niente. Fra poco, quando glielo dico provi a mettere in moto.”

“Non ora signora, prima metta la seconda signora.”
“No, nemmeno ora signora, prima mi lasci fare un po’ di strada, aspetti che glielo dica io.”

Ho un attimo, ricordo mio padre che mi racconta di trentasei anni fa.
Era in viaggio di nozze con la mamma e aveva indosso il vestito buono. La macchina si era fermata in salita, lui era sceso a spingere in camicia e parlava alla mamma, che guidava da poco e faceva un sacco di sbagli.
Penso a papà che sbuffava e si incazzava, a mamma che non riusciva, alla macchina che non partiva.
Sono lì, nei loro vestiti buoni, da qualche parte su al nord. Penso a loro che lo raccontano e a quanto ridono e mi si bagnano i vetri.
Signora accenda i tergicristalli. Lo so che non piove signora.
Una mano, accanto alla mia sul lunotto posteriore.
Compare così.
È un filippino, avrà quarant’anni, spinge accanto a me. Sull’altro lato c’è un ragazzo, barba e occhialetti, ma avrà appena iniziato l’università. Spinge anche lui.

“la signora non ce la fa, serve qualcuno che lo fa per lei, lo fai tu? Prendo io il tuo posto.” Un altro uomo, accento romano e sigaretta in bocca, si rivolge a me.
“Vado io, l’ho fatto un sacco di volte.” Dice occhialetti.
Il ragazzo sale sulla macchina. L’uomo prende il posto del ragazzo, e spinge insieme a noi.

Spingiamo, vetri ancora umidi, la macchina arriva in fondo al piazzale e finalmente si mette in moto.

La signora ci raggiunge felice, ci bacia tutti. Mi tiene le mani tra le sue.
“Grazie, grazie. Lo sapevo, Dio è amore, che vi benedica.”
Non sono troppo d'accordo che lui entri in campo ora, quando è tutto fatto, e si prenda anche i meriti ma non mi sembra il caso di dirlo alla signora.
“Oh! Auguri!” fa il ragazzo al filippino. Si stringono le mani. Ce le stringiamo. Auguri.
“Vada signora” dice l’uomo: “fa tardi per la messa”

La foto è fatta male.
Perché la signora appena rimonta in macchina spegne di nuovo il motore mentre sto fotografando e tutti ci guardiamo negli occhi con orrore.
Ma poi il motore riparte subito e a quel punto abbiamo fretta di farla andare via, non ci stiamo a preoccupare delle foto.
E a pensarci bene, mentre la guardo andare, non sono sicuro se sono stato io a far ripartire lei o se è stata lei, a far ripartire me.

La foto è fatta male.
Ma è tutto quello che ho di questo capodanno e lo condivido con voi.

Vi auguro un anno di giramenti di coglioni, di altoparlanti e piazzali e bimbi che ridono e buste strapiene e buste rachitiche, e freddo e liquidi. E brutte notizie e deserto e cose che non partono.
E figli, e sbagli e cose messe in posizione per poi fare il rettilineo.
E freni a mano e spinte, e paura e ricordi e vestiti buoni e gente che ride a raccontare e vetri bagnati.
E mani, all’improvviso accanto alle vostre e amore, qualunque forma abbia per voi, e a pensarci bene ripartenze inaspettate.

E foto fatte male.

La foto è fatta male perché alla fine mi sono emozionato. E quando mi emoziono faccio un sacco di sbagli.
E ho paura che questa cosa non cambierà mai.