venerdì 13 gennaio 2012

Wenders, oggi. Ovvero Pina, e il 3d


mesi fa, ormai, sono andato a vedere Pina 3D.




Sono arrivato in sala con un sacco di curiosità sulla storia, ma soprattutto sul fatto che per la prima volta assistevo ad un regista per cui nutro grandissimo rispetto alle prese con la nuova tecnica, il 3d.
Di più: con un film documentario, girato in 3d.

Ho portato a casa alcune belle impressioni.
Per capire meglio quelle stesse impressioni mi sono documentato un pò, e mi sono imbattuto recentemente in questa intervista.




a questo punto non devo praticamente dire niente di mio perchè il maledetto, qui, ha detto tutto lui.


1) allo stesso modo dell'autore, ho sempre pensato che la danza non facesse per me. Niente di fisico: sono aggraziato come una capra e non è un segreto.
Il problema, guarda un pò, sta nella testa.
Non sono mai riuscito a fruire di uno spettacolo di danza: mi annoia, non ho gli elementi per codificarne il linguaggio, spesso mi sembra esagerato, troppo esibizionista, troppo marcato.

Poi per fortuna Pina Bausch ha aperto gli occhi al regista, e il regista ha stupendamente funzionato da amplificatore per questa realtà: la danza è un grande strumento di espressione.
Non mi sto mettendo una calzamaglia, mentre scrivo. Sto solo ammettendo che non me ne sono mai accorto.
E probabilmente continuerò a considerare un volo dalle scale l'ottima alternativa a due biglietti per lo schiaccianoci: però almeno ora so che il problema è mio.

Di più: la danza è strumento eccezionale per un documentarista, umiliazione doppia per me.
Un ballerino verso la fine del film sintetizza il concetto in maniera semplice ma formidabile: Pina gli ha chiesto un movimento, un gesto che esprimesse il concetto di gioia. Lui lo trova: quel momento del film nasce da solo.

Non voglio farla lunga.
Qualcuno riesce a rappresentare un concetto, un'emozione, in un semplice gesto. Chi può filmare quel gesto ha a disposizione un poteziale enorme.
Compito di un documentarista è trarre dalla realtà, da ciò che accade, un messaggio e una storia attraverso le immagini.
Se quello che sta accadendo è già stato pensato per esprimere qualcosa, in pratica, metà del lavoro è già fatto
:)

2) la terza dimensione.
Spesso, più o meno recentemente, mi sono soffermato a discutere del tema con amici, conoscenti, esperti o meno del settore.
A volte, ho affrontato la discussione anche su altri blog.
Sin dal primo film che ho visto, Avatar, ho sempre pensato che il 3d fosse nato come uno strumento ostico, per il mio modo di intendere il cinema.
Uso ostico perchè si, l'ha usato Wenders, ma lo spiego a modo mio.

La parte più bella di Avatar, che ricordo ancora, è stata il trailer di oceani 3d prima del film.

Quando ho visto quel banco di pesci che creava un vero turbine, oltre e prima dello schermo: quando ho visto la pinna di una balena abbracciare le prime file di posti a sedere.
In quel momento ho aperto gli occhi.
Poi è cominciato avatar, e mi sono fatto un giro sulle giostre. Niente, a confronto.

Però ora capisco cosa mi ha acceso in quel momento, e mi riconosco nelle parole di Wenders.
Il vero valore del 3d sta nel poter dare un piano in più alla presenza dell'attore, sullo schermo. Sia esso una balena, un banco di pesci, una ballerina o un gran canyon.
Questo è il grado di potenziamento del mezzo cinematografico che anche io mi auguro.
Certo, anche il drago di avatar ha una dimensione in più.
Ma il drago è parte di una macchinona da circo fatta per sorprendermi e lasciarmi senza fiato con roba per forza impressionante, scoppiettante.
La balena è qualcosa che guardo, che voglio capire, da cui mi sforzo di cogliere qualcosa di affine.
Meliès / Lumière?
Forse. D'altronde anche questo


era stato pensato per colpire gli spettatori attraverso l'uso della terza dimensione.
Ma anche per farli riflettere sul fatto che ora avevano un mezzo nuovo con cui guardare il mondo.
Io spero sia ancora così.

Forse, però, la mia è anche una riflessione a monte.
Perchè ho paura dell'invasione di un cinema fatto per colpire, allucinare a tutti i costi, anche se non c'è niente da dire.
E mi meraviglio ancora quando il cinema viene usato per farmi scoprire qualcosa su di me, o su quello che mi sta intorno.


e ora,

l'ULTIMO ATTO.
in cui l'autore del blog stravolge la tesi, si burla di se stesso e del lettore, e come nelle intestazioni delle opere teatrali vittoriane finisce tutto a merda ma si rimane amici

Queste le intenzioni: quelle del regista e le mie.
Il documentario, si è capito, mi è piaciuto e mi ha fatto riflettere: a tratti mi è sembrato un pò rattoppato, complice probabilmente la morte inaspettata di Pina.
A tratti è stato veramente magico.

Va visto solo per la metà dei suoi pregi.

Il 3d invece mi ha deluso anche stavolta.

Non nell'uso che ne ha fatto il regista, che mi è sembrato veramente una ricerca brillante.
Ma nell'esito tecnico.
Guardo un'inquadratura complessa:
in primo piano un gioco di danza tra ballerini, in secondo piano una bella scenografia e puntualmente mi perdo uno dei due piani per concentrarmi sull'altro.
Se poi ci sono movimenti troppo frenetici in primo piano, tutto il resto dell'inquadratura io non so proprio cos'è.

Ma perchè non riesco a vedere bene: i movimenti non mi sembrano fluidi, mi distraggono troppo, i piani mi sembrano troppo separati, troppo difficili da accostare le prospettive delle due lenti dell'occhiale: non è ancora una fruizione naturale.
Non lo so perchè.
Forse ho visto una brutta proiezione.
Forse proprio il 3d come tecnica non è ancora ottimale.
Forse serve ancora tempo al mio cervello, che d'altronde è tardo.
O forse sono strabico e basta, speriamo di no: ma guardare un film ed accorgermi che il regista stava usando un trucco di montaggio o c'è un bel paesaggio di sfondo perchè me lo dice qualcun altro è una cosa che mi succede solo con le proiezioni 3d.

E spero non mi succeda in futuro, ora che almeno vorrei farci amicizia.